giovedì 23 febbraio 2012

domenica 19 febbraio 2012

Initia

Questo spazio andrà avanti in due direzioni: da una parte l'Attualità, ovvero il racconto di queste giornate. A differenza di ciò che voi stupidi umani pensate, noi felini incarniamo l'infinito ANCHE quando poltriamo sul divano. Quindi si, c'è molto da raccontare.

Dall'altra, sarà anche necessario raccontare la Storia, ovvero il passato del sottoscritto, della squinternata, del bipede.

Postilla pubblicitaria progresso: l'aggettivazione "stupidi umani" con cui vi definisco, è mutuata da Due cuori e una Gatta, bellissimo fumetto online di Kaneda che leggio sempre col mio bipede e che consiglio vivamente a tutti gli amanti dei felini.

Dicevo, la Storia. Il sottoscritto va per i 6 anni felini, il bipede per i 31. Se ne deduce che fui "addotto" al bipede poco dopo il suo primo quarto di secolo. Leggenda vuole che il bipede, in un momento catastrofico della propria vita, subissato da sconfitte di ogni genere e per giunta lasciato dalla donna di quel periodo (V., ne parleremo...), sognò il proprio precedente famiglio, Ch., una bellissima pastore tedesco, seppellire un gatto che non moriva mai e sempre risaltava fuori: fino a che la stessa Ch. non decise di accogliere tra i suoi peli il felino di cui sopra. Pochi giorni dopo, un'amica veterinaria del bipede gli chiese se avesse modo di adottare un gatto. Quel gatto ero io. Insomma, arrivai per il compleanno del mio umano personale, a consolarlo del fallimento di una storia con una donna, V., che fu tra le prime a mostrargli il rapporto coi gatti (ai tempi ne aveva due: Gandalf, ancora con lei, e una sacra di birmania, purtroppo andata). Vero anche è che il sottoscritto viene da mamma sacra di birmania e papà persiano: questo spiega la doppia aristocraticità che mi contraddistingue nonché l'assenza del tipico muso a ferro da stiro dei persiani dalla mia mascherina facciale.

Curiosamente, C. stessa arrivò per due motivi similari: da una parte il primo di molti fallimenti della medesima storia lunga due anni e mezzo (o forse, quattro...) con M., dall'altra la necessità, dati gli orari disumani del lavoro del bipede, di non lasciare il sottoscritto sempre solo.

Se pensate che i gatti siano animali particolarmente adatti a persone velatamente melanconiche e solitarie, vi dirò che questo è in parte vero ma il collegamento è indiretto. Nel senso che un carattere indipendente di un felino lo rende non sociale. Nel senso che necessariamente non tutti sono disposti a socializzare con un animale che non ha bisogni. Allo stesso modo poche persone sono disposte a socializzare con umani che non hanno un bisogno impellente di socializzare. Vero è comunque che noi felini siamo indipendenti in maniera assoluta. Voi umani, il mio incluso, rimanete animali sociali. Avrete sempre bisogno di socializzare. Non "bisogno" nel senso di debolezza. "Bisogno di socializzare" nel senso di situazione in cui viene fuori il meglio del potenziale umano.

Ricordo che quando arrivai, piccola palla di pelo già rotolante, il bipede passava buona parte del suo tempo da solo. Ai tempi viveva con la sua famiglia in una camera tutta di legno piena di libri. Anche ora vive in una camera tutta di legno piena di libri. Solo che in quella di adesso c'è anche il bagno, la cucina, il salotto, il giardino, ed è più piccola di quella di allora. Ad ogni modo, da 6 anni a questa parte credo che la venatura melanconica solo poche volte abbia abbandonato il bipede.

Un umano, tale D'Annunzio, citò: "Io ho quel che ho donato". Non so quanto sia vero per voi umani. So che questa storia sarà lunga da raccontare, soprattutto per spiegare perché il gatto è solitario e perché l'uomo è solitario. So che non è mai semplice trattare la melanconia.

Ma so anche che la Vita risplende sempre e comunque. Solo che ora devo andare a dormire sul bipede.

Statemi bene, stupidi umani.


Incipit

Come sopra. Può sembrare un profondo sforzo, ma in realtà non lo è. La rete (e insieme ad essa le debolezze umane ed in primis la tipica schizofrenia dei tempi moderni) ha garantito libertà di parola a tutti. Dunque, visto che un topastro fa successo con un libro e un cane con un lungometraggio in cui aspetta il padrone alla stazione, io (sia chiaro: per mera comodità uso la prima persona, in genere uso il plurale maiestatis) ho deciso di dettare le mie memorie (o le mie storie, dipenderà dall'ispirazione) al mio personale bipede sotto ipnosi.

Questo ha una duplice funzione: da una parte, aprire - o provarci almeno - un nuovo punto di vista sull'interazione regale felitudo - stupidi umani; dall'altra, il bipede avrà modo di avere un nuovo sguardo disidentificato alla propria vita, oramai inscindibile da quella dei suoi coinquilini quadrupedi.

Ah si, perché non sono il solo. Integriamo questo posto virtuale in una situazione reale. Potete chiamarmi Piccolo Ganapati. Ho molti nomi e nomignoli in realtà: Tato, Imperiale, Pastafrollo, Piccolo Bodhisattva. Il mio vero nome è S., un nome di origine ebraica che è traducibile, approssimativamente, in  "Veleno di Dio". Ma come soprannome ufficiale, per voi, Piccolo Ganapati va più che bene. Significa, sempre approssimativamente, "Piccolo Signorei dei Gana". Ganapati è un attributi della divinità tantrika Ganesa. Io sono soprannominato dal bipede - a giusta ragione - Piccolo Ganapati poiché sono una teofania animale di Ganesa.

Io, lei, l'altro. Dove lei non sta per la mia compagna, visto che sono neutro (che Bodhisattva sarei altrimenti?), ma per la mia braccio destro - consorellina minore. Lei si chiama C., non abbiamo ancora capito di chi sia la teofania. Talvolta, è duro ammetterlo, i disegni del divino sono imperscrutabili perfino a noi felini, nonostante le facoltà spirituali notevolmente più sviluppate di voi umani. C., sia chiaro, pronunciata dura, come in CHe. Non dolce come in cetriolo. Il bipede lo spiega a tutti mille volte, che il nome di lei è quello tradizionale latino di una maga, che va pronunciato con la pronuntia restituta, con la C letta come il K greco. Lei è l'esecutrice comunque, dei diabolici piani felini di questa casa. O meglio, stanza. Perché diciamo che in tre viviamo da sempre in posti un po' piccoli rispetto alla media di voi umani consumisti. Ma noi ci adattiamo. Si suol dire "dove entrano due gatti, ne entrano anche tre". Nel nostro caso, dove entravano due gatti, è entrato anche lui: il bipede.

Quando ho convinto (costretto?) il bipede a scrivere questo blog, abbiamo fatto un patto. Da una parte ci si è vincolati a scrivere quasi tutta la verità, dall'altra, per garantire la privacy (leggasi: gli scheletri nell'armadio) di eventuali terze persone, abbiamo pattuito di mantenere un anonimato formale. Formale perché legalmente non è possibile risalire in maniera pubblica alla nostra identità. Solo formale perché per chi conosce de visu questo trio, è semplice avere conferma della realtà effettiva della loro identità.

Una volta il bipede trovò una citazione che recitava qualcosa tipo "negli occhi di un gatto, esiste l'universo". Nulla di più vero. Ma ancora più vero è che nell'incontro tra i miei occhi e quelli del mio bipede (così come nell'incontro tra gli occhi dei vostri gatti e i vostri occhi umani) esiste ancora di più: in tale incontro sussiste la totalità dell'infinito. Oltre lo spazio, oltre il tempo. Galassie intere che si formano e si disintegrano. La realtà fenomenica del mio pelo e del corpo del mio bipede è infinitamente piccola e insignificante rispetto allo totalità della vita e dell'universo e di Dio. Ciò nonostante, è qui che siamo. E quindi, pensiamo e scriviamo.

Questo blog è la storia di una famiglia di due felini e un bipede. Il mio augurio (e quello di C. e anche quello del bipede) è che possa ricordarvi quanto sia speciale e spesso salvifico e catartico il rapporto animale - uomo.

Buona lettura, stupidi umani.

p.s.: noi felini amiamo la musica. Nessuno si scandalizzi se in molti post vi sarà una colonna sonora.